23/1/2012 00:00:00
Secondo i dati elaborati dal Cerved negli ultimi tre anni i crack sono costati oltre 300.000 posti di lavoro. Lo scorso anno sono aumentati del 7,4% a quota 12.094, cifra record dalla riforma della normativa fallimentare. Nel corso del 2011, quindi, i fallimenti in Italia sono aumentati in tutte le forme giuridiche, con una crescita più sostenuta tra le società di capitali (+8,6% sul 2010) rispetto alle altre strutture societarie (+4,7%). Secondo il Cerved gli Insolvency ratio (Ir) che misurano la frequenza dei default (cioè il numero di fallimenti ogni 10.000 imprese operative) indicano che le aziende più colpite sono state le piccole e medie imprese (precisamente quelle con un attivo compreso tra i 2 e i 10 milioni di euro, con un Ir di 132 punti) seguite da quelle con un attivo tra i 10 e i 50 milioni, con un Insolvency ratio a quota 127.
Nel 2011 è proseguito l’aumento dei fallimenti nei servizi (+10% rispetto al 2010) e nelle costruzioni (+7,8%). In controtendenza l’industria che, pur rimanendo il macrosettore con la maggiore frequenza di fallimenti (Ir a 39 punti), ha registrato un’inversione di tendenza rispetto al 2010 (-6,3%). Il risultato, secondo il Cerved, è da attribuire soprattutto ai miglioramenti dei settori che negli anni precedenti hanno pagato un conto più salato alla crisi. Alla meccanica, per esempio, con un Ir che passa dai 70 punti del 2010 a 60 del 2011, alla chimica (da 59 a 46), al sistema moda (da 54 a 46), alla siderurgia (da 51 a 40). In peggioramento invece il sistema casa, da 54 a 59 punti di Insolvency ratio, e la filiera auto, da 45 a 53 punti. Dal punto di vista territoriale, la crescita dei fallimenti osservata nel 2011 ha riguardato tutte le aree italiane ad eccezione del Nord Est.
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Osservatorio 2011