31/5/2012 00:00:00
Secondo il Ministero delle Finanze i redditi medi dichiarati nel 2011 dai quasi 3,5 milioni di contribuenti soggetti agli studi di settore sono aumentati dell’1%, ma la spinta all’adeguamento della dichiarazione dei compensi è arrivata prevalentemente dal basso, cioè da chi guadagna, o dice di guadagnare di meno. Tra il 2010 ed il 2009, gli aumenti maggiori delle somme dichiarate si sono registrate per gli istituti di bellezza, i negozi di abbigliamento e di scarpe, i pellicciai, ma soprattutto per i bar, gli alberghi ed i ristoranti, quest’ultimo settore è cresciuto in media del 2,9% (contro una media dello 0,41%). Appaiono in crescita anche i guadagni denunciati dalle gioiellerie (da 16 a 17 mila euro) e dai meccanici (da 24.300 a 24.700 euro), ma dichiarano di più anche i notai, che sono di gran lunga la categoria di contribuenti più ricca, con 318.200 euro denunciati nel 2010, contro i 310.800 dell’anno prima. Al contrario diminuiscono i redditi medi di commercialisti ed esperti contabili (da 65.900 a 61.300 euro) e soprattutto degli avvocati (da 66.100 a 57.600 euro), ma anche quelli di architetti, pasticceri, macellai e negozianti di giocattoli, mentre sostanzialmente invariati sono i redditi dei farmacisti, dei fornai, dei negozi di alimentari, dei fiorai. Ovviamente si parla di valori medi, perché tra le diverse tipologie di contribuenti soggetti agli studi di settore esistono differenze molto evidenti. Basti pensare, come sottolinea il ministero delle Finanze, che i contribuenti persone fisiche dichiarano il 26,9% dei ricavi complessivi, ma dichiarano il 57,3% dei redditi. Mentre, al contrario, le società di capitali soggette agli studi di settore, pur dichiarando la metà del totale dei compensi, denuncia solo il 17,8% del totale dei redditi. Anche l’analisi delle dichiarazioni Iva fornisce indicazioni interessanti sulla struttura dei redditi. In quell’ambito lo 0,85% dei contribuenti, che sono quelli che hanno un giro d’affari superiore a 7 milioni di euro l’anno, detengono circa il 66% del volume d’affari complessivo registrato dai 5,2 milioni di partite Iva attive.
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