13/4/2013 00:00:00

Secondo il direttore del Centro studi Confindustria, Luca Paolazzi, è la crisi peggiore della storia. Il Pil è diminuito di oltre l’8% dal 2007, i consumi sono tornati ai livelli del 1997, la produzione industriale è inferiore di un quarto dal 2008, 70mila imprese manifatturiere sono state chiuse in sei anni. Fatto 100 quello Usa, il Pil per abitante italiano risulterà nel 2060 pari a 38, contro il 65 del 2010. Posto 100 il Pil della Ue, l’italiano scenderà a 57, dal 98 di tre anni fa.
Il report, presentato in occasione dell’evento della Piccola Industria di Torino, individua nel Progetto Confindustria per l’Italia, lanciato lo scorso gennaio, le terapie per uscire “dal tunnel della peggiore crisi economica dall’Unità”.
Nonostante la doppia recessione e la perdita di terreno, le statistiche rendono ancora giustizia alla centralità dell’industria italiana, che nel 2011 sfornava un valore aggiunto che per dimensioni era il quinto nel mondo, il secondo in Europa dopo quello tedesco. Inoltre, sebbene il peso diretto di questo settore sul valore aggiunto dell’intera economia si sia ridotto al 16,5% nel 2012 dal 29,6% del 1976, la sua incidenza effettiva, che tiene conto dell’attivazione indiretta di produzioni di altri settori, è pari al doppio. Il potenziale da coltivare è enorme: ancora nel 2012 il 78,7% del valore dei beni venduti dall’Italia al resto del mondo era costituito da prodotti manufatti. Dal manifatturiero del resto originano sia guadagni di produttività sia ricadute in termini di maggiore innovazione. Gli Usa hanno già compreso la svolta e puntano al rimpatrio di parte delle produzioni delocalizzate mentre la Commissione europea ha proposto di raggiungere entro il 2020 l’obiettivo del 20% nella quota del manifatturiero sul valore aggiunto totale.
Per battere la recessione occorre una governance migliore per l’Europa unita – sintetizza Paolazzi – e la consapevolezza che sarà l’industria “l’antidoto all’impoverimento”. Entrando nel dettaglio, si propone una politica anti recessiva «a due stadi»: prima ricollocare il Paese su un sentiero di crescita nuovamente elevato (oltre il 2% l’anno), poi stabilizzare questo livello attraverso riforme strutturali. Il primo stadio, la “terapia d’urto”, mobiliterebbe 316 miliardi in cinque anni aumentando la competitività, tagliando i costi e sostenendo la domanda interna attraverso investimenti pubblici e privati. Il Pil ne beneficerebbe con un tasso di crescita del 3% annuo nel 2017 e 2018 e un aumento cumulato nei prossimi cinque anni pari a 156 miliardi aggiuntivi ai prezzi di oggi mentre gli occupati salirebbero di 1,8 milioni di unità.
Se il manifatturiero sparisse verrebbe a mancare il 34% del valore aggiunto complessivo e oltre 8,2 milioni di posti di lavoro.
Se l’economia italiana proseguisse la sua evoluzione secondo il trend attuale, l’occupazione rimarrebbe piatta fino al 2016, ma adottando le proposte di Confindustria, dal 2014 inizierebbe una rincorsa che culminerebbe con un balzo di oltre 2 milioni di occupati in più.
Nello scenario con le proposte di Confindustria, la disoccupazione salirebbe fino al 12,6% nel 2015, ma poi scenderebbe progressivamente fino all’8,4% nel 2018. Alla fine nel periodo 2013-2018 la disoccupazione potrebbe calare di 3 punti e mezzo.
 

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