14/6/2013 00:00:00

Da una ricerca Cer-Confcommercio, presentata nell’ambito dell’Assemblea Generale della Confederazione, emergono dati allarmanti. La crisi ha tagliato il reddito pro-capite italiano dell’11% rispetto alla Germania, del 5% rispetto alla Francia e del 4% rispetto a Giappone e Stati Uniti. Dal 2007, inoltre, si sta ridimensionando la dinamica dei redditi nominali, mentre il combinato disposto di bassa produttività, alta pressione fiscale e inflazione superiore alla media europea ha provocato una compressione cumulata del potere d’acquisto pari a 3.400 euro per ogni famiglia. Come l’andamento confortante della spesa pubblica: tra il 2010 e il 2013 le uscite primarie sono diminuite in media dello 0,6% (1,8% in termini reali), un elemento di netta discontinuità rispetto al passato. La stabilizzazione della spesa pubblica, sottolinea lo studio, è requisito indispensabile per allentare la morsa della pressione fiscale, imprescindibile per rimettere le imprese nelle condizioni di pianificare la propria attività di investimento e restituisca fiducia alle famiglie. Basti pensare che nel 2013 il numero di giorni di lavoro necessari per pagare tasse, imposte e contributi raggiungerà il suo massimo storico: 162 giorni (ne occorrevano 139 nel 1990 e 150 nel 2000) contro i 130 della media europea (-24% rispetto all’Italia). Per non parlare della complessità del sistema di prelievo: ogni azienda italiana dedica l’equivalente di 269 ore di lavoro l’anno ad adempimenti fiscali, ovvero il doppio della Francia, il 60% in più della Spagna, il 30% in più della Germania, 85 ore in più della media dei paesi Ue ed Efta. Le pmi italiane si devono far carico, inoltre, di un onere annuo pari a 10 miliardi per adempimenti fiscali, quasi il 50% in più della media dei Paesi Ue. In questo quadro, la ricerca sottolinea come sia prioritaria la sterilizzazione dell’aumento Iva, che determinerebbe “pronunciati effetti regressivi”, penalizzando le famiglie a più basso reddito con perdite comprese fra i 50 e i 200 euro per nucleo familiare. Una volta esaurita la recessione, le linee di riforma del mercato del lavoro dovranno essere profondamente ripensate “adattandole alle caratteristiche che andrà assumendo la ristrutturazione dei processi produttivi e invertendo così una logica che tenta invece erroneamente di imporre la direzione del cambiamento attraverso una maggiore rigidità di utilizzo delle singole tipologie contrattuali”.

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