Dall’intervento del Governatore Ignazio Visco alla XIV edizione della Conferenza annuale MAECI – Banca d’Italia
Chiamati ad affrontare uno shock energetico che richiama alla memoria le crisi petrolifere degli anni Settanta
… La transizione energetica, oggetto della Conferenza odierna, è un tema centrale nell’agenda internazionale, tanto più alla luce della gravissima situazione geopolitica in cui ci troviamo. Oggi, a seguito della tragica aggressione all’Ucraina, siamo chiamati ad affrontare uno shock energetico che richiama alla memoria le crisi petrolifere degli anni Settanta. L’inflazione è così tornata a condizionare le vite dei cittadini italiani ed europei, un fenomeno che avevamo dimenticato da diversi anni. Se, da un lato, aumentano i costi di produzione delle imprese e si riduce il potere d’acquisto delle famiglie, dall’altro gli interventi di sollievo per chi è maggiormente colpito e la necessaria risposta volta ad accrescere nell’immediato la diversificazione delle fonti di energia rischiano di rallentare il perseguimento dell’obiettivo di una rapida transizione verso le energie rinnovabili.
Allo stesso tempo, le crescenti tensioni internazionali rischiano di riproporre nuove divisioni del mondo in blocchi contrapposti. Ciò danneggerebbe seriamente la nostra capacità di affrontare i grandi problemi globali, dal cambiamento climatico agli squilibri demografici, dalla povertà estrema alle pandemie. Per farvi fronte con successo, e per contenere le difficoltà connesse sul piano sociale ed economico con la transizione digitale come con quella energetica, non si può che mirare a tenere alto e costruttivo lo scambio di idee e conoscenze. Bisogna quindi operare perché resti equilibrata ed intensa la cooperazione tra i paesi.
Shock energetico e inflazione
Come è a tutti evidente, viviamo oggi un periodo di acuta incertezza. L’attività economica globale continua ad attraversare una fase di debolezza, mentre la crescita dei prezzi è tornata su livelli che nei paesi avanzati non vedevamo da quarant’anni.
Nonostante il fenomeno abbia caratteristiche simili, in particolare tra le principali economie, le sue cause prossime sono diverse. Negli Stati Uniti il rialzo dell’inflazione ha riflesso soprattutto l’eccesso della domanda di beni di consumo alimentato dall’ingente stimolo di bilancio realizzato durante la pandemia. Vi si è aggiunta la peculiare dinamica del mercato del lavoro, dove i posti disponibili superano largamente le richieste di occupazione, con forti spinte al rialzo delle retribuzioni. In Europa, invece, l’inflazione è principalmente il risultato di shock da offerta: alle pressioni sui prezzi, già registrate nel 2021 anche a causa delle strozzature nelle catene globali del valore, si sono aggiunti i rincari energetici determinati dalle crescenti tensioni geopolitiche, culminate con l’invasione dell’Ucraina.
Significativo incremento della volatilità
Oltre ai rincari si è assistito a un significativo incremento della volatilità alimentato soprattutto dalla dinamica del prezzo del gas, cresciuto drasticamente, fino al picco di quasi 350 euro per megawattora toccato la scorsa estate, per poi iniziare a calare, fino a scendere al di sotto dei 50 euro, su valori comunque ancora pari a circa tre volte quelli prevalenti alla vigilia della pandemia. La diminuzione è stata favorita dalla ricostituzione delle scorte e dalla riduzione dei consumi in un inverno fortunatamente mite. L’incertezza sulle forniture rimane tuttavia elevata e non si può escludere che ulteriori sviluppi negativi di natura geopolitica possano determinare nuovi, marcati, rincari, oltre che per il gas naturale, per il petrolio e suoi derivati.
Cambio di orientamento della politica monetaria della Banca centrale europea
L’accelerazione della crescita dei prezzi ha imposto, dalla fine del 2021, un deciso cambio di orientamento della politica monetaria della Banca centrale europea. Dapprima abbiamo annunciato la riduzione degli acquisti netti di titoli. Nel corso del 2022 il processo ha necessariamente accelerato, evitando però variazioni eccessivamente brusche delle condizioni monetarie, anche alla luce dell’incertezza causata dall’invasione dell’Ucraina. Dal luglio scorso ad oggi, partendo da livelli particolarmente bassi, addirittura negativi per i depositi delle banche presso la banca centrale, i tassi di riferimento sono stati innalzati per complessivi 300 punti base ed è già stata espressa l’intenzione di accrescerli ancora di 50 punti nella riunione che terremo la prossima settimana.
Difficile prevedere i futuri andamenti macroeconomici
Anche se la politica monetaria ha finora avuto successo nello stabilizzare le aspettative, la grave situazione geopolitica rende molto difficile prevedere i futuri andamenti macroeconomici. La politica monetaria dovrà quindi continuare a muoversi con prudenza, facendosi guidare dai dati che via via si renderanno disponibili, in modo da riportare l’inflazione all’obiettivo del 2 per cento nel medio periodo, senza mettere a rischio la stabilità finanziaria e minimizzando gli effetti negativi sull’ancora fragile ripresa. Sarà però necessario evitare che lo shock di offerta, che il drammatico conflitto in Ucraina ha reso ben più persistente di quanto inizialmente previsto, dia luogo nel complesso dell’area dell’euro ad aumenti dei costi del lavoro e dei margini di profitto non coerenti con il ritorno in tempi sufficientemente rapidi all’obiettivo di stabilità dei prezzi.
I rischi della frammentazione globale
L’aggressione all’Ucraina non ha ripercussioni solo sui prezzi dell’energia e sull’inflazione. È anche il pericoloso segnale di una nuova fase di divisione del mondo in blocchi; vi è il rischio concreto che vengano messi in discussione i risultati raggiunti negli ultimi decenni grazie alla stabilità delle relazioni internazionali e alla cooperazione tra i paesi. Il progressivo abbattimento delle barriere al movimento non solo di beni e servizi, di capitali e di persone, ma anche di informazioni, di tecnologie e di idee ha permesso di coniugare pace e sviluppo economico in gran parte del pianeta. Si è significativamente ridotta la povertà estrema, anche se – all’interno di molti paesi – a seguito dell’aumento delle diseguaglianze è cresciuta la domanda di protezione, a cui spesso non si è data adeguata risposta.